La persecuzione contro i Valdesi

Nel 1179 il concilio del Laterano, sotto Alessandro III, affermò contro gli eretici: ‘…tutti i fedeli devono opporsi energicamente a questa peste (catari, ecc.) ed anche prendere le armi contro di essi. I beni di questa gente saranno confiscati e sarà permesso ai principi di ridurli in schiavitù. Chiunque, seguendo i consigli dei vescovi, ecc., prenderà le armi contro di essi, avrà una remissione di due anni di penitenza e sarà, come tutti i crociati, posto sotto la protezione della Chiesa’.[1]

E nel 1208 per ordine di Innocenzo III, che si rifece al suddetto canone, ci fu una dura persecuzione contro i Catari e gli Albigesi nel sud della Francia: le vittime secondo alcuni ammontarono ad oltre sessantamila persone.[2] 
papa Innocenzo III

E’ vero che i Catari e gli Albigesi, quantunque dicevano di basarsi sul Nuovo Testamento, insegnavano delle eresie (affermavano per esempio che il vero Dio non si era incarnato in Cristo e condannavano il matrimonio) ma questo non giustifica affatto il comportamento verso di loro della chiesa papista perché non è questo l’atteggiamento che, in base alla Scrittura, si deve avere verso gli eretici. Che poi non si può dire che furono dei Cristiani a perseguitare quegli eretici, ma altri eretici cioè i Cattolici romani di allora.[3]

Un gruppo di Valdesi condannati al rogo nei dintorni di Tolosa nel 1251

Ma tra coloro che furono oggetto della persecuzione del 1208 ordinata da Innocenzo III contro gli eretici, ci furono anche i Valdesi che eretici non erano (quantunque qualche residuo di cattolicesimo l’avevano ancora). 
Il movimento Valdese aveva fatto la sua comparsa in Francia durante l’ultimo quarto del dodicesimo secolo. Esso aveva preso il nome da Pietro Valdo, un ricco mercante di Lione che convertitosi al Vangelo verso il 1176 organizzò una compagnia nota col nome di ‘Poveri di Lione’. Egli voleva assieme ai suoi seguaci predicare l’Evangelo rimanendo ‘laico’, ma questo gli fu vietato dal papa che scomunicò sia lui che i suoi seguaci perché essi si rifiutarono di smettere di predicare. Molti di loro, in seguito alla grande persecuzione che ci fu nel sud della Francia sotto Innocenzo III, si ritirarono nell’Italia settentrionale; so­prattutto nelle valli del Piemonte. 
Ma anche qui continuarono ad essere visti di malocchio dal papato; e furono periodicamente perseguitati dalle autorità che venivano incitate contro di loro dal clero romano che voleva estirparli dal Piemonte. Durante la persecuzione che essi subirono in alcune valli Piemon­tesi nel 1655 (per citare solo una delle tante), essi furono minacciati di morte e di confisca dei beni dalle autorità nel caso non avessero abiurato la ‘Religione riformata’ e non fossero tornati alla chiesa roma­na. Ma essi preferirono fuggire e lasciare i loro beni anziché rinnegare la loro fede; ecco come viene descritta questa loro fuga in un libro che parla delle loro persecuzioni subite nel 1655: 
‘Abbandonarono le loro case con mogli e figli, grandi e piccoli, sani e malati, trasci­nandoli sotto la pioggia, la neve, nel gelo e nella miseria, tra singhiozzi e lamenti, come ognuno può immaginare. Tutte queste migliaia di persone, povere e mal vestite, costrette a fuggire sulle montagne e nelle caverne per cercare un riparo, senza poter portare quasi nulla dei loro beni, si raccomandavano tuttavia a Dio ed erano risolute a giungere fino all’estremo pure di non cambiare Religione. 
Il coraggio che Dio dette loro di abbandonare piuttosto i beni terreni che non quelli celesti, fu di grande consolazione per le altre chiese e meravigliò gli avversari: tanto più che ognuno conosce i grandi vantaggi che vengono offerti in quelle terre a tutti coloro che abiurano la Religione riformata, vale a dire la grazia per i criminali, la liberazione per i prigionieri, l’esenzione dalla taglia ed ogni altra imposta ed aggravio reale e personale per la durata di cinque anni dal giorno dell’abiura’.[4]
Ma ci furono anche coloro che furono trucidati dalle truppe di S.A.R, da sei Reggimenti dell’esercito francese, dalla milizia del Piemonte ed anche da banditi e malfattori liberati dalle prigioni. Nel libro appena citato viene detto anche che ‘i confessori, poi, per infervorare il più possibile il popolo perché accorresse a questa crociata, avevano distribuito dei biglietti stampati con la promessa di indulgenza plenaria a chiunque si rendesse utile per la distruzione di quei pretesi eretici’.[5]
Nel racconto dello stermi­nio di quelle persone in alcuni paesi troviamo le seguenti paro­le: 
"L’indomani 22 (Aprile 1655), gli incendiari e i massacratori non rimasero certo inerti: un monaco dell’ordine di San Francesco ed un prete, che hanno voluto avere l’onore di essere i principali incendiari, potendo agire con le loro armi speciali in tutta tranquillità, appiccarono il fuoco al tempio di San Giovanni e a quasi tutto ciò che rimaneva in piedi di case a Torre e a parte di Angrogna. Là dove trovavano ancora qualche angolo risparmiato dai primi incendi, il prete non faceva altro che sparare un colpo della sua carabina incendiaria per completare la distruzione. E i soldati, implacabili, corsero fin sui punti più alti delle montagne, in posti che sembravano inaccessibili, per sgozzare tutte le creatu­re che incontravano, benché non opponessero alcuna resistenza (anzi, avrebbero dovuto con le loro lacrime fare cadere le armi dalle mani dei più barbari cannibali). Nel solo Tagliaretto, paese posto su una delle colline più alte di Torre, dopo avere fatto mille obbrobri a 150 donne e bambini, tagliarono loro la testa. Ne hanno fatto cuocere altre e ne hanno mangiato il cer­vello, ma poi hanno smesso dicendo che era troppo scipito e avrebbe fatto loro male allo stomaco: di questo si è vantato un uomo di Cumiana in presenza di tre persone del Delfinato degne di fede. Molti poi sono stati fatti a pezzi ed i carnefici se li gettavano l’un l’altro. Ad una povera donna che è sfuggita loro e vive ancora, benché sia stata orribilmente mutilata, hanno preso il bimbo in fasce e sono andati a sbatacchiarlo sull’orlo di un precipizio; altri fanciulli sono stati schiacciati contro le rocce, altri uccisi crudelmente sotto gli occhi delle loro madri. Molti sono stati dilaniati e tagliati a metà. Infatti due soldati prendevano una di queste creature innocenti, uno da una parte e uno dall’altra, tiravano ognuno dalla sua parte e poi se la scagliavano l’un l’altro. Hanno spogliato interamente molte persone senza distinzione né di età, né di sesso, ne hanno ta­gliuzzato i corpi in modo da fare fremere al solo sentirlo rac­contare, vi hanno poi sparso del sale e della polvere, li hanno rivestiti con camicie imbevute di alcol e, appiccatovi il fuoco, le hanno fatte bruciare su quei poveri corpi martoriati. Ad altri sono stati conficcati dei chiodi e dei cunei nella testa, altri sono stati legati nudi, la testa fra le gambe, e fatti rotolare da precipizi senza risparmiare un tale Pierre Simond di Angrogna, centenario, né sua moglie novantacinquenne. Molti sono stati bruciati nelle loro case, senza prima averli voluti uccidere, cosa che essi invocavano come una grazia. Per esempio a San Giovanni, in una frazione chiamata i Brunerols, i soldati fecero irruzione da Maria di Praviglielmo e da Margherita della Carret­tera, che, per la debolezza della loro età ed altre infermità, non avevano potuto fuggire: dopo averle sollecitate ad andare alla messa, cosa che esse rifiutarono tenacemente, le bruciarono vive insieme alle loro case. Fecero lo stesso a ‘Madona’ Lena della Torre, ottantenne cieca, a ‘Magna’ Jeanne, novantenne, ed a molti altri sia uomini che donne. Ad alcuni è stato squarciato il petto, ad altri sono state strappate le viscere e tagliate le parti vergognose; dopo avere abusato di alcune donne hanno con­ficcato loro nel ventre molte pietre e in questa posizione sono state trascinate finché non hanno esalato l’ultimo respiro".[6]
E tutto questo avvenne perché il clero romano aveva fatto pres­sione sulle autorità piemontesi affinché distruggesse i Valdesi.

Note:
[1] Concilio del Laterano III, can. 27
[2] A proposito del massacro degli abitanti di Bèziers, avvenuto nel 1209, successe che il legato del papa – abate Arnoldo dell’ordine dei Cistercensi – a chi gli domandava se si dovevano risparmiare i Cattolici, temendo che gli eretici potessero fuggire col farsi passare per Cattolici, diede questa risposta: ‘Uccideteli tutti. Dio saprà ben riconoscere i suoi’. Nel rapporto che poi questo abate fece al papa si legge: ‘La città presa d’assalto, gli abitanti tutti massacrati; non abbiamo risparmiato né ceto, né sesso, né età; circa 20.000 persone sono perite per la spada: la città intera spoglia ed arsa fervendo in modo meraviglioso contro di essa la vendetta di Dio’.
[3] Sotto lo spietato Innocenzo III, il concilio Laterano IV (1215), che è chiamato sacrosanto perché viene asserito che esso si riunì nello Spirito Santo, a proposito del trattamento da riservare agli eretici confermò e rafforzò il decreto del concilio del 1179 infatti decretò quanto segue: ‘Condanniamo tutti gli eretici, sotto qualunque nome; essi hanno facce diverse, ma le loro code sono strettamente unite l’una all’altra, perché convergono tutti in un punto: sulla vanità. Gli eretici condannati siano abbandonati alle potestà secolari o ai loro balivi per essere puniti con pene adeguate (…) Siano poi ammonite e, se necessario, costrette con censura le autorità civili, di qualsiasi grado, perché, se desiderano essere stimati e creduti fedeli, prestino giuramento di difendere pubblicamente la fede; che essi, cioè, cercheranno coscienziosamente, nei limiti delle loro possibilità, di sterminare dalle loro terre tutti quegli eretici che siano stati dichiarati tali dalla chiesa (…) I cattolici che, presa la croce, si armeranno per sterminare gli eretici, godano delle indulgenze e dei santi privilegi, che sono concessi a quelli che vanno in aiuto della Terra Santa’. (Concilio Lateranense IV, cap. III). Ecco quale era il sentimento del papato verso coloro che dissentivano da esso sotto Innocenzo III. Come si può ben vedere, dalle suddette dichiarazioni è assente nella maniera più assoluta quel sentimento di amore e di compassione che la Chiesa di Dio deve, per comando del suo fondatore, nutrire verso coloro che si sviano dalla verità, nella speranza che, utilizzando le armi della nostra guerra che non sono carnali ma spirituali, Dio conceda loro di ravvedersi e riconoscere la verità.
[4] Enea Balmas e Grazia Zardini Lana, La vera relazione di quanto è accaduto nelle persecuzioni e i massacri dell’anno 1655,Torino 1987, pag. 220-221
[5] Enea Balmas, op. cit., pag. 223
[6] Ibid., pag. 225, 226, 227


Tratto da:
G.Butindaro, La Chiesa Cattolica Romana
Libro on-line sul sito la nuova Via
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...