La storia segreta dei Gesuiti: La fondazione dell’Ordine

Capitolo 1 – Ignazio di Loyola
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Il fondatore della Compagnia di Gesù, lo spagnolo basco Don Tñigo  Lopez de Recalde, nacque nel 1491 nel castello di Loyola, provincia di Guipúzcoa. E’ stata una delle personalità più particolari, da monaco-soldato, che il mondo cattolico abbia mai generato. Tra i fondatori di ordini religiosi la sua personalità è probabilmente quella che ha lasciato il segno più forte nella mente e nel comportamento dei suoi discepoli e successori, forse anche a causa del suo “aspetto particolare” o “marchio di fabbrica” che erano inconfondibili.  Anche se Folliet respinge(1) questa tesi, molti  documenti mostrano come avesse sempre, attraverso il tempo, mantenuto un “aspetto da gesuita”. 

La testimonianza più particolare a riguardo si trova nel Museo Guimet. Sullo sfondo dorato di una tela del sedicesimo secolo, con tutto lo spirito della sua razza, un artista giapponese dipinse l’arrivo dei portoghesi, ed in particolare dei figli di Loyola, nelle isole giapponesi. La meraviglia di questo amante della natura e dei colori brillanti fu grande nel vedere i gesuiti, basti osservare infatti come li rappresentò quali ombre lunghe e nere, con facce tristi che esprimevano l’arroganza del loro fanatico leader. E’ per tutti evidente la somiglianza tra il dipinto dell’artista orientale del 16°secolo e quello di Daumier del 1830. Come molti altri “santi”, Iñigo (che successivamente cambiò il suo nome romanizzandolo in Ignazio), non sembrava proprio essere colui che avrebbe “illuminato” i suoi contemporánei (2). 
La sua tempestosa giovinezza fu piena di fallimenti e di “crimini odiosi”, secondo quanto afferma un rapporto della polizia, egli era un “traditore violento e vendicativo”. Parlando di violenza e di istinti primordiali (cosa comune a quel tempo), i suoi biografi riconobbero che  non si arrendeva di fronte a nessuno dei suoi stretti compagni. Uno dei suoi confidenti disse che Loyola era “un soldato indisciplinato e presuntuoso ” e secondo il suo segretario Polanco, “condusse una vita fuori controllo per quanto riguarda le donne, il gioco d’azzardo e le risse “(3). 
Questo lo afferma uno dei suoi figli spirituali, R. P. Rouquette, che cercò di spiegare e  in qualche modo giustificare il suo temperamento veemente, che  infine divenne “ad majorem Dei gloriam” (per la maggior gloria di Dio).  Come nel caso di molti eroi della Chiesa cattolica romana fu necessario un grave problema fisico per cambiare la sua personalità. Ignazio da Loyola divenne il paggio del tesoriere di Castiglia fino a che il suo padrone non cadde in rovina e, successivamente, divenne un cavaliere presso il Viceré di Navarra. Essendo stato un cortigiano fino ad allora, iniziò la vita da soldato difendendo Pamplona contro i francesi comandati dal conte De Foix; la ferita che avrebbe deciso il futuro della sua vita gli fu inflitta proprio in questa battaglia. Quando si ruppe una gamba ferito da una palla di cannone, i francesi vittoriosi lo inviarono al castello di Loyola, la casa di suo fratello, dove affrontò il martirio  di un intervento chirurgico senza anestesia e poiché questa operazione non fu eseguita correttamente dovette essere sottoposto ad un secondo intervento nel quale dovettero rompergli la gamba per curarlo. Così Ignazio divenne zoppo e questa esperienza gli causò un esaurimento nervoso. Il “dono delle lacrime” che gli fu concesso “abbondantemente” e che i suoi biografi più pii videro come favore dall’alto, probabilmente non erano altro che il risultato della sua natura altamente emozionale, che lo ha sempre influenzato. Mentre giaceva ferito e sofferente  passava il proprio tempo leggendo “La vita di Cristo” e” Le Vite dei Santi “, gli unici libri che trovò nel castello. Dal momento che praticamente non ebbe mai nessuna istruzione e che era ancora sofferente e sconvolto a causa di questa scioccante esperienza, l’angoscia della Passione di Cristo e il martirio dei Santi lasciarono in lui un impatto indelebile. Questa ossessione portò l’invalido guerriero sul percorso dell’ “apostolato”. “Egli mise da parte i libri ed iniziò a sognare ad occhi aperti. Era un chiaro caso di quel gioco immaginario infantile che si protrae successivamente anche negli anni dell’età adulta … “Se permettiamo che questo invada l’area psichica, ciò andrà conseguentemente a sfociare in nevrosi e in un abbandono della volontà in cui la realtà diventa secondaria! “(4) 
A prima vista, questa diagnosi non sembra applicarsi al fondatore di  questo ordine così attivo, e neanche ad altri “grandi mistici” e fondatori di associazioni religiose che, in apparenza, ebbero enormi capacità organizzative. Tuttavia vediamo che nessuno di loro poteva resistere alla propria estremamente fervente immaginazione poichè, per loro, l’irreale diventava reale. A questo proposito lo stesso autore dice: “Vorrei sottolineare l’ovvio risultato che perviene quando qualcuno in possesso di una mente brillante, pratica il misticismo. La mente debole che pratica il misticismo si pone su di un terreno pericoloso, ma il mistico intelligente costituisce un pericolo ancora maggiore perché il suo intelletto lavora in maniera più ampia e profonda, .. Quando il mito supera e prende il controllo della realtà in una intelligenza attiva, esso si converte in mero fanatismo, un’infezione della volontà che soffre di aumento parziale o distorsione “.(5) 
Ignazio di Loyola fu un perfetto esempio di “misticismo attivo” e di “distorsione della volontà”, tuttavia, la sua trasformazione da  cavaliere-guerriero a “generale” dell’ordine più militante della Chiesa Romana fu lenta e, prima di trovare la sua vera vocazione, passò molte fasi incerte. Il nostro obiettivo non è quello di esaminare ogni fase ma quello di ricordare i punti principali: Nella primavera del 1522 lasciò il suo castello determinato a diventare un santo come quelli di cui leggeva le imprese che lo ispirarono. Inoltre gli apparve una notte la “vergine” Maria portando in braccio il “bambino Gesù” e, dopo averne fatto la confessione completa nel monastero di  Montserrat, programmò di partire per Gerusalemme, ma a causa della peste che imperversava a Barcellona e a causa della chiusura del traffico marittimo dovette rimanere a Manresa quasi un anno. Qui trascorse molto tempo in preghiere,  supplicazioni e in digiuni prolungati, flagellandosi e praticando ogni forma di automacerazione, presentandosi davanti al “tribunale della penitenza”.(…) Tutto questo dimostra lo stato mentale e nervoso di quest’uomo. Alla fine, liberandosi dell’ossessione per il peccato, convincendosi che era stato un trucco di Satana, si dedicò interamente alle molteplici e abbondanti visioni che affliggevano la sua mente febbricitante. H. Boehmer afferma: “E ‘stato a causa di una visione che cominciò a mangiare carne nuovamente. Una serie di visioni gli rivelò i misteri del dogma cattolico e lo aiutarono a viverlo pienamente. Inoltre meditò sulla Trinità comparandola ad una forma di uno strumento musicale con tre corde, nel mistero della creazione del mondo, come ‘qualcosa’ di nebuloso e una luce proveniente da un raggio di sole nella miracolosa discesa di Cristo nell’eucaristia, come raggi di luce che entravano nell’acqua consacrata quando il sacerdote la innalza durante la preghiera, in cui  la natura umana di Cristo e della “Vergine” prendono la forma di un corpo bianco abbagliante, e infine in Satana, descritto come una forma  sinuosa e lucente, simile ad una moltitudine di occhi misteriosi e  lampeggianti “(6) 
Non è questo l’inizio delle famose immagini create dai Gesuiti?  Boehmer aggiunse che il senso profondo dei dogmi era rivelato ad Ignazio come un favore speciale dall’alto mediante intuizioni trascendentali. “Improvvisamente si rese conto con chiarezza di molti misteri della fede e della scienza, gli sembrò di aver imparato di più in quei brevi momenti, che durante tutti i suoi studi. Tuttavia non riuscì mai a spiegare quali erano i misteri che capì così improvvisamente ma aveva solo un vago ricordo, la sensazione di qualcosa di  miracoloso, come se in quel momento fosse diventato un altro uomo con un’ altra intelligenza .”(7) 
Tutto ciò potrebbe essere stato causato da un disturbo nervoso che potrebbe essere identificato con quello che accade a coloro che fumano oppio e hashish: incremento o estensione dell’io, l’illusione di elevarsi al di sopra della realtà, una sensazione che lascia solo un ricordo confuso. Queste meravigliose visioni e illuminazioni accompagnavano costantemente questi mistici nel corso di tutte le loro vite. “Non ha mai messo in dubbio che queste rivelazioni fossero reali. In queste visioni inseguiva Satana con un bastone come avrebbe fatto con un cane rabbioso, parlava allo Spirito santo come se parlasse ad un’altra persona. Chiedeva l’approvazione di Dio, della Trinità e della madonna riguardo a tutti i suoi progetti e versava lacrime di gioia quando gli apparivano. In quelle occasioni gli sembrava di sperimentare la beatitudine celeste, i cieli si aprivano e la divinità diventava a lui visibile e percepibile”(8). 
Non è questo il caso perfetto di una persona allucinata? Questa “divinità” percettibile e visibile è la stessa che i figli spirituali di Loyola avrebbero poi costantemente offerto al mondo, non solo per motivi politici –  basandosi sulla propensione all’idolatria così radicata nel cuore dell’uomo ed elogiandola – ma anche per convinzione, essendo stati così profondamente  indottrinati. Il misticismo medievale ha fin dall’inizio fatto da padrone nella Compagnia di Gesù ed è ancora ciò che la motiva nonostante i suoi esteriori aspetti mondani, intellettuali e culturali. Il suo credo basilare è : “Tutte le cose a tutti gli uomini”. Le arti, la letteratura, la scienza e anche la filosofia sono stati solo i mezzi o le reti mediante le quali avrebbero catturato anime, e con le facili indulgenze concesse dai casisti,  il cui lassismo morale è stato spesso rimproverato. Per l’Ordine dei gesuiti non vi è ambito alcuno nel quale non si possa lavorare sulla debolezza umana, potendo letteralmente comandare l’animo e la volontà dell’uomo ad arrendersi e a tornare ad una forma di tranquilla devozione simile a quella dei bambini. 
Pertanto, essi lavorano per sviluppare il “regno di Dio” per raggiungere il proprio ideale: un grande gregge sotto  la guida del santo padre: il papa. Sembra strano che uomini eruditi possano avere un ideale così anacronistico ma è innegabile e conferma un fatto che viene spesso trascurato: il primato delle emozioni sulla vita spirituale. Kant affermò che tutta la filosofia non è altro che l’espressione del temperamento o del carattere del filosofo e infatti, a parte i metodi individuali, il “temperamento” dei gesuiti sembra essere più o meno uniforme tra i propri membri. “Una combinazione di pietà e di diplomazia, di ascetismo e di sapienza terrena, misticismo e freddo calcolo; proprio come era il carattere di Loyola così è il carattere di quest’Ordine “.(9)  
In primo luogo, tutti i gesuiti scelgono questo Ordine a causa della loro disposizione naturale, ma per diventare veramente un “figlio” di Loyola  bisogna superare prove rigorose e attraversare un’educazione sistematica che dura almeno 14 anni. Con questi metodi il paradosso dell’Ordine ha continuato per 400 anni: un Ordine che si è sempre sforzato di essere “intellettuale”, ma che nello stesso tempo,  ha sempre avuto regole rigide e ferree, sia per la Chiesa Romana che per la società.
Bibliografia:
1. “La Croix”, 31 luglio del 1956.
2. Come Sant’ Agostino, San Francesco d’Assisi e molti altri.
3. RP. gesuita Robert Rouquette, “Saint Ignace de Loyola”
(París: Ed. Albín Michel, 1944), p. 6.
4. Ibíd.,p. 9.
5. Dr. Legrain, “Le Mysticisme et la folie” (Herblay: Ed. de l’Idee Libre, [S.etO.], 1931), pp. 14-16.
6-7. H. Boehmer, professore all’Università di Bonn, “Les Jesuites”
(París: Armand Colín, 1910),pp. 12-13.
8.1bid.,p. 14.
9. J. Huber, professore di teologia cattolica a Monaco, “Les Jesuites”
(París: Sandoz et Físchbacher, 1875), p. 127.
 Capitolo 2
Gli esercizi spirituali
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Quando per Ignazio giunse il momento di partire da Manresa non poteva prevedere il suo destino e, già a quel tempo, l’ansia per la propria salvezza non era più la sua principale preoccupazione. Nel marzo 1523 partì per la Terra Santa, non come un semplice pellegrino, ma come missionario. Dopo molte avventure arrivò a Gerusalemme il 1°settembre ma, ben presto, dovette andarsene per ordine del provinciale dei Francescani il quale non voleva che la già precaria pace tra cristiani e turchi fosse messa in pericolo da un prematuro proselitismo. Il frustrato missionario attraversò Venezia, Genova, Barcellona e si fermò ad Alcalà dove iniziò gli studi teologici all’università.

Fu proprio qui che iniziò la sua “cura d’anime” tra i suoi ascoltatori volontari. “In queste riunioni le più comuni manifestazioni di pietà furono vari svenimenti tra il gentil sesso e questo dimostra con quanta severità Loyola applicava i suoi metodi religiosi, motivo per il quale questa fervente propaganda risvegliò la curiosità e successivamente i sospetti degli inquisitori… Nel mese di aprile del 1527 l’Inquisizione mise in prigione Ignazio accusandolo di eresia. Le indagini che furono fatte su di lui esaminarono questi incidenti  tra i suoi devoti, le strane affermazioni che egli faceva riguardo al meraviglioso potere che gli conferiva la sua castità e le sue strane teorie circa la differenza tra i peccati mortali e i peccati veniali. Queste teorie avevano sorprendenti somiglianze con quelle dei casisti gesuiti dell’ epoca successiva “(10). 
Uscito di prigione, ma sotto il divieto di continuare le sue riunioni, Ignazio partì per Salamanca dove ben presto ricominciò le stesse attività. Anche qui sorsero gli stessi sospetti tra gli inquisitori e fu di nuovo imprigionato. Fu liberato solo con la condizione di abbandonare la sua condotta, pertanto, si trasferì a Parigi per continuare i suoi studi presso l’Università di Montaigu. I suoi sforzi per indottrinare i suoi compagni secondo i suoi peculiari metodi  gli provocarono nuovamente problemi con l’Inquisizione, così, agendo con più prudenza, incominciò a riunirsi con sei dei suoi colleghi accademici, due dei quali sarebbero diventati suoi seguaci molto apprezzati: Salmeròn e Lainez. 
Ma cosa c’era in questo anziano studente che attraeva  così potentemente i giovani? Era il suo ideale e qualcosa di speciale che portava con sè: un libretto. Questo, pur essendo così piccolo, è uno dei libri che più hanno influenzato il destino del genere umano. Questo libro è stato stampato molte volte in un numero imprecisato di copie e fu oggetto di più di 400 commentari. Questo è il testo fondamentale dei gesuiti  e, contemporaneamente, la sintesi della lunga esperienza interiore del suo insegnante: “Esercizi Spirituali” (11) . 
Boehmer  in seguito dichiarò: “Ignazio intese più chiaramente di qualsiasi altro leader prima di lui che il modo migliore per controllare un uomo ed indirizzarlo verso un certo ideale, fosse quello di diventare il padrone della sua mente. 
Il loro metodo è quello di legare l’individuo a forze spirituali che difficilmente potranno essere in seguito eliminate, forze più durevoli di qualsiasi  principio o dottrina. Queste forze possono venire a galla di nuovo, a volte anche dopo anni senza averle scomodate o menzionate, e diventare così potenti che nessun ostacolo potrà opporvisi, così potenti da paralizzare la volontà dell’individuo sospingendolo a seguire il loro irresistibile impulso.”(12)  
Pertanto, colui che si dedica a questi “esercizi”, non solo dovrà meditare e studiare  tutte le “verità” del dogma cattolico, ma dovrà anche viverle e sentirle nel proprio intimo con l’aiuto di un “direttore”. In altre parole dovrà vedere e rivivere il mistero con la massima intensità possibile. La sensibilità del candidato diventa impregnata di queste forze, la cui persistenza nella memoria e ancora di più nel suo subconscio, divengono tanto potenti quanto l’intensità dello sforzo attuato per evocarle ed assimilarle. Oltre alla vista anche gli altri sensi come l’udito, l’olfatto, il gusto e il tatto giocano la loro parte. In breve si tratta semplicemente di un’autosuggestione controllata. 
Durante queste esperienze controllate i candidati “rivivono” la ribellione degli angeli, la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso, il tribunale di Dio e le scene e i momenti riguardanti la Passione presenti nei Vangeli. Scene dolci e felici si alternano con altre scene più oscure ad un ritmo abilmente programmato. L’ inferno, naturalmente, occupa un posto di rilievo in un tale “magico spettacolo di luci” con il lago di fuoco nel quale vengono gettati coloro che sono stati condannati, con il concerto di orribili urla e con il puzzo terribile di zolfo e di carne bruciata. Tuttavia Cristo è sempre presente, per sostenere il visionario che non sa come ringraziarlo per non averlo ancora gettato nella Geenna per pagare i suoi peccati passati. Edgar Quinet scrisse: “Non solo queste visioni sono già precedentemente strutturate; ma anche i sospiri sono tutti  annotati, le inalazioni e le respirazioni; le pause e gli intervalli di silenzio sono indicati come in una partitura. Se non mi credete, vi citerò di seguito ciò che i gesuiti insegnano riguardo a ciò: [Il terzo modo di pregare, consiste nel misurare le parole e i periodi di silenzio] . 
Questo particolare modo di pregare consiste nel pronunciare alcune parole durante la respirazione, poi dice: [Bisogna assicurarsi di mantenere intervalli uguali tra ogni inspirazione, ogni espirazione e ogni parola] (“Et paria Vocum anhelituum interstitia ac observet “). Ciò significa che l’uomo, sia egli ispirato o meno, diventa una macchina che deve singhiozzare, sentire, gemere, piangere, urlare o respirare nel momento esatto e nel modo in cui, come gli ha precedentemente comprovato l’esperienza, possa essere a lui più utile”.(12a) 
E’ comprensibile che dopo aver fatto questi esercizi intensivi per quattro settimane, accompagnati da un direttore come suo unico compagno, il candidato è pronto per l’istruzione e la “rottura” successiva. Riferendosi al creatore di questo metodo tanto allucinante Quinet afferma: “Sai che cosa lo distingue da tutti gli asceti del passato? Il fatto che durante questi stati allucinatori potesse osservare e analizzare sé stesso razionalmente e freddamente, mentre per gli altri anche la sola idea di pensare era impossibile.” Imponendo ai suoi devoti azioni che per lui erano spontanee, con il suo metodo necessitava solo 30 giorni per spezzarne la volontà e il ragionamento, proprio come un cavaliere doma il suo cavallo. Gli necessitavano solo 30 giorni “triginta dies”, per sottomettere un’anima. Si noti che il gesuitismo si diffuse insieme con la moderna Inquisizione: mentre l’Inquisizione distruggeva il corpo, gli Esercizi Spirituali distruggevano i pensieri sotto la macchina di Loyola. “(12b). 
‘In ogni caso, un individuo non potrebbe mai esaminare la sua vita “spirituale” con profondità senza avere prima l’onore di diventare un gesuita, i metodi di Loyola dovrebbero infatti essere raccomandati in particolare ai fedeli e al clero.’ Questo è ciò che scrisse il commentatore R. P. Pinard de Boullayc, autore di “preghiera mentale per tutti.” Questo lavoro, ispirato da Ignazio, pensiamo avrebbe avuto un titolo più esplicito se avesse sostituito nel suo titolo la parola “preghiera” con la parola “alienazione”.
Bibliografia:
10. H. Boehmer, op. cít., pp. 20-21,25.
11-12. Ibid.,pp. 25,34-35.
12a,12b. Michelet e Giúnet,”Des Jesuites” (París; Hachette,Paulin, 1845)Tpp. 185-187.

 Capitolo 3
La fondazione della Compagnia
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 La Compagnia di Gesù fu fondata come tale il giorno dell’Assunzione nel 1534, nella cappella di Notre Dame di Montmartre. Ignazio aveva allora 44 anni d’età. Dopo questa riunione, il creatore dell’idea e alcuni suoi colleghi promisero che non appena avessero concluso i loro studi sarebbero andati in Terra Santa per convertire gli infedeli, tuttavia, l’anno successivo si incontrarono a Roma. Quivi, il papa, che con l’imperatore tedesco e la Repubblica di Venezia stava organizzando una crociata contro i Turchi, mostrò loro che a causa di ciò, gli sarebbe stato impossibile portare a termine il progetto. Pertanto Ignazio e la sua compagnia si dedicarono al lavoro missionario in terre cristiane ma a Venezia il suo “apostolato” sollevò ancora una volta i sospetti dell’ Inquisizione. 
La Costituzione della Compagnia di Gesù fu nuovamente redatta e in ultimo, nel 1540, Paolo III la approvò a Roma. I gesuiti si misero così a disposizione del papa promettendogli ubbedienza incondizionata. Il campo di applicazione del nuovo Ordine erano l’insegnamento, la confessione, la predicazione e le opere di carità; non escludevano il lavoro missionario in altri paesi dal momento che nel 1541 Francisco Javier e altri due compagni partirono da Lisbona per evangelizzare l’Estremo Oriente. 
Nel 1546 iniziò invece l’aspetto politico della loro carriera quando il papa scelse Lainez e Salmeròn affinchè lo rappresentassero al Concilio di Trento come “teologi papali”. Boehmer scrive: “A quel tempo, il papa impiegò l’Ordine solo temporaneamente, ma esso adempì i suoi doveri con così tanta prontezza e zelo, che già sotto Paolo III, fu fermamente stabilito in tutti i tipi di attività e si guadagnò la fiducia della Curia per sempre.”(12 c) 
Questa fiducia fu pienamente giustificata infatti, nelle tre sedute del Concilio che si concluse nel 1562, i gesuiti e Lainez in particolare con il suo fedele amico, il cardinale Morone, divennero abili e instancabili sostenitori dell’autorità papale e delle intangibilità dei dogmi. Mediante le loro astute manovre e la loro dialettica vinsero l’opposizione e tutte le proposte “eretiche” tra cui il matrimonio dei preti, la comunione con l’uso di due elementi, l’uso della lingua locale nei servizi e, in particolare, la riforma del papato. Tramite la loro agenda si mantenne solo la riforma dei conventi. Lo stesso Lainez, con un potente contrattacco, difese l’infallibilità papale promulgata dal Concilio Vaticano tre secoli più tardi (13). 
Grazie alla forte azione dei gesuiti il Vaticano emerse ancora più forte dalla crisi nella quale fu quasi sconfitto; pertanto, i termini usati da Paolo III per descrivere questo nuovo ordine nella sua Bolla Papale sono pienamente giustificati: “Regime Ecclesiaemilitantis “. Il loro spirito combattivo continuò a crescere con il passare del tempo, perché oltre alle missioni in paesi stranieri, le attività di figli di Loyola cominciarono a concentrarsi sulle anime degli uomini e soprattutto tra le classi dei dirigenti. La politica è il loro principale campo d’azione in quanto tutti gli sforzi di questi “politici” devono essere concentrati verso un unico obiettivo: la soggezione del mondo al papato e per raggiungere questo obiettivo, in primo luogo, i politici devono essere conquistati. Ma in che modo stanno realizzando questo ideale? Con due armi: diventando i confessori dei potenti e di coloro che sono in posizioni altolocate ed educando i loro figli. In questo modo, si assicurano il presente mentre preparano il futuro. 
La Santa Sede subito si rese conto della forza che gli avrebbe apportato il nuovo Ordine. Dapprima, il numero dei suoi membri è stato limitato a 60 ma questa restrizione fu immediatamente cancellata. Quando morì Ignazio, nel 1556, i suoi “figli” stavano lavorando tra i pagani in India, Cina, Giappone e nel Nuovo Mondo, ma anche e soprattutto in Europa: Francia, Germania Sud e Ovest, – dove combatterono contro l’”Eresia” –  in Spagna, Portogallo, Italia e anche in Inghilterra, nella quale vi si erano introdotti attraverso l’Irlanda. La loro storia, ricca di vicissitudini, è e sarà un network “Romano” che cercheranno costantemente di estendere al mondo, i cui legami si rompono e vengono ripristinati continuamente.
Bibliografia:
12c. H. Boehmer, op. cit., pp. 47-48.
13. Concilio Vaticano (1870).

 Capitolo 4
Lo spirito dell’Ordine
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 “Non dimentichiamoci, scrive il gesuita Rouquette, che storicamente, l’ultramontanismo (dottrina secondo la quale il papa ha il primato sulle chiese nazionali n.d.r) è stata l’affermazione pratica dell’universalismo … Questo universalismo necessario sarebbe stata una parola vuota se non fosse stata tradotta con il risultato di un’ubbidienza pratica al cristianesimo; per questo Ignazio voleva che la sua squadra fosse a completa disposizione del papa e che difendesse l’unità cattolica, unità che sarebbe stata raggiunta solo attraverso una efficace sottomissione al vicario di Cristo “(13 bis). 
I gesuiti vollero imporre questa monarchia assoluta nella Chiesa Romana e la mantennero nella società civile che avrebbe dovuto vedere i monarchi come rappresentanti temporanei del “Santo Padre”, il vero capo della cristianità. Fintanto che i monarchi erano pienamente soggetti al loro maestro comune i gesuiti erano i loro sostenitori più fedeli, ma appena quei governanti si ribellavano, i gesuiti diventavano i loro peggiori nemici. “In Europa, dove gli interessi di Roma richiedevano che le persone si ribellassero contro il loro re, o dove i governanti temporanei avevano preso decisioni che andavano contro gli interessi della Chiesa, la Curia sapeva che fuori dalla Compagnia di Gesù, non avrebbe mai trovato persone tanto capaci, abili e coraggiose in quanto a instaurare intrighi, propagande e ribellioni.”(14). 
Abbiamo visto, nello spirito degli Esercizi, quanto il fondatore di questa Compagnia fosse dietro al loro misticismo semplicistico, alla disciplina ecclesiastica e, in generale, al loro concetto di subordinazione.  Le “Costituzioni” e  gli ”Esercizi”, essenziali in questo sistema, non lasciano dubbio alcuno. Non importa quello che dicono i suoi discepoli (soprattutto adesso infatti affermano che le idee moderne sul tema sono completamente diverse), perché l’ubbidienza occupa un posto molto speciale, sicuramente il primo quando si riassumono le regole dell’Ordine. Folliet vedeva questo come “un’ubbidienza religiosa” richiesta comunemente  in ogni congregazione. 
Anche R. P. Rouquette scrive: “Lungi dall’essere una disminuizione dell’ uomo, questa ubbedienza intelligente e volontaria è l’apice della libertà … una liberazione dalla schiavitù di se stessi”. Basta leggere questi testi per percepire il carattere estremo, se non mostruoso, della sottomissione dell’anima e dello spirito che si impone ai gesuiti, rendendoli docili strumenti nelle mani dei loro superiori e, peggio ancora, convertendoli in nemici naturali di tutti i tipi di libertà. 
Secondo Folliet i gesuiti devono essere nelle mani dei loro superiori “come un bastone che ubbidisce ad ogni impulso; come una palla di cera che può essere modellata ed allungata in qualsiasi direzione, come un piccolo crocifisso che uno alza e muove come meglio vuole”; senza ombra di dubbio queste affermazioni sono estremamente rivelatrici. I commenti e le spiegazioni del creatore di questo ordine non ci permettono di dubitare sul suo reale significato. Inoltre tra i gesuiti, non solo la volontà, ma anche il ragionamento e gli scrupoli morali avrebbero dovuto essere sacrificati per far posto alla virtù principale dell’ubbidienza  che, secondo Borgia, è “il muro più forte della Compagnia”. 
Loyola scrisse: «Siamo convinti che tutto ciò che ordina il Superiore è buono e corretto”, e aggiunse:” Anche se Dio vi desse un animale privo di senno come signore, non esiterete ad ubbidirgli come vostro maestro e guida, perché è Dio che lo ha stabilito in quel ruolo”. C’è di più: “il gesuita deve vedere nel suo superiore, non un uomo fallibile, ma Cristo stesso”.  J.Huber, professore di teologia cattolica a Monaco di Baviera e autore di una delle più importanti opere sui gesuiti scrisse: “Qui è un fatto provato: le “Costituzioni” ripetono 500 volte che il gesuita deve vedere Cristo nella persona del generale”(15).  
La disciplina dell’Ordine, così spesso identificata con quella dell’ esercito, è niente se poi confrontata con la realtà. “L’ ubbidienza militare non è equiparabile all’ubbidienza dei Gesuiti poiché quest’ultima è molto più ampia. Essa infatti controlla l’uomo nella sua totalità, e non è soddisfatta come l’altra con un atto esterno, ma richiede di sacrificare la propria volontà e il proprio giudizio”(16). 
Ignazio stesso, nella sua lettera ai gesuiti portoghesi, scrisse: “Se lo dice la Chiesa, dobbiamo vedere il nero come se fosse bianco”. Tali princìpi furono elogiati da RP Roquette come l’” apice della libertà” e la “liberazione dalla schiavitù di se stessi”. La realtà dei fatti, invece, è che il gesuita si libera da sé stesso nell’assoggettarsi totalmente ai suoi padroni; ogni dubbio o scrupolo riguardo a questo verrà loro imputato come peccato. 
Boehmer scrisse: “Nelle “aggiunte” alle “Costituzioni” i superiori sono invitati a comandare i novizi come Dio fece con Abramo facendogli fare cose apparentemente maligne per provarli. Tuttavia queste tentazioni devono essere proporzionali alla forza di ciascuno. E ‘difficile immaginare quali potrebbero essere i risultati di tale formazione?”(17).
La vita altalenante dell’Ordine (non esiste un solo paese dal quale l’ordine dei gesuiti non sia stato espulso) testimonia che tutti i governi, anche la maggior parte dei cattolici, capirono la loro pericolosità. Con l’introduzione di questi uomini ciecamente devoti alla loro causa di ammaestrare le classi più altolocate, la Compagnia – la quale difendeva e difende tuttora l’universalismo e  l’ ultramontanismo – è stata sempre inevitabilmente considerata come una minaccia all’autorità civile, poiché l’attività dell’Ordine, fin dall’inizio della sua vocazione, si rivolse sempre più alla politica. Parallelamente nei suoi membri si stava formando quello che viene chiamato “lo spirito gesuita”. 
Tuttavia il suo fondatore, essendo principalmente ispirato dai bisogni delle “missioni” fuori e dentro il paese, non aveva trascurato la sua attitudine astuta; nella sua “Sententiae asceticae” scrisse: “Una saggia intelligenza insieme ad una purezza mediocre è migliore di una eccellente purezza ma con una intelligenza non perfetta. Un buon pastore deve saper ignorare molte cose e far finta di non capire. Una volta diventato maestro delle loro volontà, può guidare i suoi studenti con saggezza dove meglio crede. Le persone sono totalmente assorbiti da interessi transitori, per questo non dobbiamo parlargli in maniera troppo diretta riguardo alle loro anime: dobbiamo lanciare loro l’amo senza esca”. Egli dichiarò anche enfaticamente l’espressione che desiderava vedere nei “figli di Loyola”: “Dovete mantenere la testa leggermente verso il basso, senza girarla nè a sinistra né a destra, non guardate verso l’alto e quando parlate con  qualcuno non lo dovete guardare dritto negli occhi ma solo indirettamente.”(18) I successori di Loyola conservarono molto bene le sue lezioni nella loro memoria applicandole abbondantemente per realizzare i loro piani.
Bibliografia:
Í3a. R.P, il gesuita Rouquette, op. cit., p. 44,
14. Rene Fulop-Milíer, “Les Jesuites et le secret de leur puissanee”
(Parigi: Biblioteca Plon, 1933), p. 61.
15-16. J. Huber, “Les Jesuites” {Parigi; Sandoz et Fischbacher, 1875), pp. 71,73.
17. Gabriel Monod, un’intriduzione ai “Gesuiti”, di H. Roehmer (Parigi: Armarid
Colin),p.XVl.
18. Pierre Dominique,”La politique des Jesuites” (Parigi: Grasset, 1995), p. 37

 Capitolo 5
I privilegi della Compagnia
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Dopo il 1558, Lainez, l’ingegnoso tattico del Concilio di Trento, fu nominato generale della congregazione con la possibilità di organizzare l’Ordine seguendo la sua ispirazione. Le dichiarazioni che elaborò con Salmeròn furono aggiunte alle “Costituzioni” formando un commentario; esse sottolinearono ancora di più il dispotismo del generale imprimendo alla sua elezione il carattere vitalizio. Un supervisore, un procuratore ed assistenti vari, che anch’essi avrebbero risieduto a Roma, lo dovevano aiutare a gestire l’Ordine che fu diviso poi in cinque congregazioni: Italia, Germania, Francia, Spagna, e Inghilterra e Stati Uniti.

Queste congregazioni, a loro volta, si suddividevano in province che raggruppavano le diverse istituzioni dell’Ordine. Solo il supervisore e gli assistenti erano nominati dalla congregazione. Il Generale nominava gli altri ufficiali, promulgava ordinanze che non avrebbero dovuto modificare le Costituzioni, amministrava le finanze dell’Ordine secondo i propri desideri e dirigeva le attività della stessa rispondendo di esse solo davanti al papa. Il papa concesse a questa milizia – così saldamente unita nelle mani del loro leader e che necessitava una massima autonomia affinchè le sue azioni potessero essere efficaci – privilegi che possono sembrare esorbitanti se comparati con quelli degli altri ordini religiosi. A causa delle loro Costituzioni, i gesuiti erano esenti dalla regola dell’isolamento applicata alla vita monastica in generale. 
Erano monaci che effettivamente vivevano “nel mondo” e apparentemente nulla li distingueva dal clero ma, a differenza di quest’ultima ed altre congregazioni religiose, non erano soggetti all’autorità del vescovo. Già dal 1545 una bolla di Paolo III permise loro di predicare, ascoltare confessioni, dispensare i sacramenti e dire la messa, cioè potevano esercitare il loro ministero senza dover fare riferimento al vescovo. L’unica cosa che non potevano fare era quella di officiare i matrimoni. Avevano il potere di dare l’assoluzione, di modificare i voti di altri così da poter essere risolti più facilmente o addirittura di annullarli. Gaston Bally scrive: “Il potere del generale per quanto riguarda l’assoluzione e le dispensazioni è ancora maggiore. Ègli può annullare tutte le punizioni inflitte ai membri della Compagnia, siano essi prima o dopo entrati nell’Ordine, di assolvere tutti i loro peccati includendo quello di eresia e di scisma, di falsificazione di scritti apostolici, ecc. 
Il Generale assolve, di persona o tramite un delegato, tutti coloro che sono sotto la sua ubbidienza, l’infelice stato risultante dalla scomunica, la sospensione o l’interdizione, a condizione che tali censure non siano state inflitte a causa di così grandi eccessi che oltre alla corte papale, anche altri ne siano venuti a conoscenza. Assolve anche le irregolarità derivanti dalla bigamia, lesioni ad altre persone, criminalità, omicidi … ma sempre e solo nel caso in cui queste cattive azioni non siano pubblicamente note e motivo di scandalo. “(19) 
Infine, Gregorio XIII concesse alla Compagnia il diritto di negoziare sia sul piano commerciale che su quello bancario, un diritto che in seguito venne utilizzato ampiamente dai gesuiti. Queste dispensazioni e poteri senza precedenti furono loro totalmente garantiti. “I papi ricorrevano anche a prìncipi e re pur di difendere questi privilegi minacciando di scomunica automatica tutti quelli che ne avrebbero tentato un annullamento. 
Nel 1574 una bolla di Pio V diede al generale il diritto di ripristinare questi privilegi alla sua dimensione originale, opponendosi a qualsiasi tentativo di alterarli o di ridurli, anche se tale riduzioni fossero state documentate con l’autorità di un revoca papale… Elargendo ai gesuiti questi esorbitanti privilegi, in contrasto con la costituzione antiquata della chiesa, il papato voleva non solo fornirsi di armi potenti per combattere contro gli “infedeli”, ma soprattutto usarsi di loro come guardie del corpo per difendere il proprio potere illimitato, sia nella chiesa che contro la chiesa. Per preservare la supremazia spirituale e temporale usurpata durante il Medioevo i papi vendettero la chiesa alla Compagnia di Gesù e, di conseguenza, si consegnarono nelle sue mani … Nello stesso modo in cui il papato era sostenuto dai gesuiti la loro esistenza dipendeva totalmente dalla supremazia spirituale e temporanea del papato. In questo modo, gli interessi di entrambe le parti erano intimamente uniti.” (20) 
Tuttavia, questa unione selezionata abbisognava di aiutanti segreti per dominare la società civile: questo ruolo ricadde verso coloro che erano affiliati in un modo o nell’altro alla Compagnia dei gesuiti. “Molte persone importanti furono in questo  modo collegate con la Compagnia: gli imperatori Ferdinando II e Ferdinando III, Sigismondo III, il re di Polonia il quale era appartenuto ufficialmente alla Compagnia, il Cardinale Infante; il Duca di Savoia. E questi non furono i meno utili.”(21) 
Lo stesso succede al giorno d’oggi. I 33.000 membri ufficiali della Compagnia lavorano per essa in tutto il mondo; sono ufficiali di un esercito estremamente segreto che conta all’interno delle sue truppe leader di partiti politici, alti funzionari, generali dell’esercito, magistrati, medici, professori, ecc … Tutti questi si sforzano di realizzare, ognuno nel suo proprio ambito l’ “Opus Dei” cioè l’opera di Dio che, in realtà, non sono altro che i piani del papato.
0267Bibliografia:
19. Gastón Bally, “Les Jesuites” (Chambery: Imprimerie Nouvelle, 1902), pp. 11-13.
20. Ibid.,pp.9-10; 16-17.
21. Pierre Domimque,op. cít., p. 37.
(Tratto da “La historia secreta de los Jesuitas” di Edmond Paris pag 17-32)
Traduzione a cura di Enrico Maria Palumbo.



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