Preti pedofili, sacerdote-psicologo racconta: «così vengono nascosti dal Vaticano» [INTERVISTA ESCLUSIVA]


ROMA – Un lungo dialogo quello tenuto dall’abAteo Impertinente con don Carlo – il cui nome è stato alterato per proteggere la sua identità - sacerdote, psicologo e insegnante di psicologia presso una prestigiosa università.
Il tema: la pedofilia nella Chiesa Cattolica e il modus agendi del Vaticano. «Provo vergogna per quello a cui ho assistito in tanti anni – afferma don Carlo – e per il modo in cui è stata gestita finora la “patata bollente” della pedofilia.»
Don Carlo, in che modo e a che titolo è entrato nel dramma della pedofilia clericale?
«Oltre che prete, insegno psicologia in una nota università. Fui chiamato dal Vaticano, in qualità di psicologo, a lavorare in un centro di supporto per sacerdoti con problemi ”di varia natura”. Così, almeno, mi venne detto in un primo momento.»
Ci faccia capire meglio: lei non sapeva di quali problemi si trattasse? Non chiese spiegazioni prima di accettare questo lavoro?
«Erano informazioni riservate alle quali avrei avuto accesso solo dopo aver accettato. Ho chiesto, anche informalmente, quale tipo di problematiche avrei affrontato, senza ricevere risposte adeguate.»
Per quale motivo, allora, accettò quell’incarico?
«Non è semplice rifiutare qualcosa proveniente dai piani alti.»
 Andiamo al suo primo giorno di lavoro. Cosa ricorda?
«Ricordo che mi venne subito premesso che, al di fuori della struttura, non mi era permesso parlare delle attività, né dei “pazienti” ricoverati, né delle informazioni raccolte. Non potevo neanche chiedere il parere di altri colleghi (psicologi, ndr.). Dovevo cavarmela da solo, insomma. Mi fu fatto leggere un giuramento con il quale mi impegnavo a mantenere il più stretto riserbo su qualsiasi notizia appresa durante lo svolgimento del mio lavoro, pena la scomunica latae sententiae. E’ per questo motivo che oggi non voglio rivelare la mia identità.»
Le fu finalmente detto in cosa consisteva il suo lavoro ma non ne fu entusiasta…
«Esattamente. Fui accompagnato alla stanza dove avrei svolto il mio lavoro e mi furono spiegati i miei compiti. Avrei dovuto condurre sedute di psicoterapia di gruppo con sacerdoti afflitti da problemi di natura sessuale e riferire la loro idoneità o meno a riprendere l’attività pastorale.»
Quale tipo di terapia conduce?
«Principalmente viene adottata la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Lo scopo delle sedute è ridurre o eliminare psicopatologie quali ipersessualità e i comportamenti parafilici. L’uso dei farmaci è molto raro.»
Ipersessualità e comportamenti parafilici: può brevemente spiegare cosa sono?
«L’ipersessualità è la dipendenza dal sesso. Il Codice Canonico impone la castità assoluta, anche il rapporto sessuale con una donna è considerato un grave peccato. Le parafilie comprendono, invece, quei comportamenti sessuali che non rientrano nella norma. In questo ambito ricade la pedofilia.»
E l’omosessualità?
«Mi aspettavo questa domanda. L’omosessualità… dovrebbe saperlo no? E’ un peccato contro natura.»
Quindi sta dicendo che pedofili e omosessuali vengono trattati allo stesso modo?
«Sono perversioni sessuali…»
Secondo i manuali attuali non è così…
«Nella categorizzazione scientifica l’omosessualità faceva parte dei disturbi mentali, è stata rimossa in seguito… In ogni caso, devo seguire il Catechismo della Chiesa Cattolica…»
La sua è una posizione scomoda. Torniamo al suo lavoro: in cosa si è imbattuto?
«Durante i primi mesi mi furono affidati i casi meno gravi, diciamo. Sa, quei sacerdoti che fanno una scappatella…»
Si è letto ultimamente di preti che hanno avuto rapporti con delle suore. Ha trattato anche lei casi analoghi? Nel centro vengono ospitate anche suore con gli stessi problemi?
«Ci sono stati alcuni casi, ma il centro è esclusivamente maschile.»
Ci può dire, grosso modo, quanti casi del genere ha avuto in terapia? 
«Non so dare un numero esatto, però non posso neanche dire che fossero pochi…»
Entriamo nella parte, ce lo conceda, più oscura del suo lavoro: la pedofilia. Come viene trattata, cosa accade ai sacerdoti?
«Viene adottata la terapia verbale. I sacerdoti, divisi in gruppi, vengono assegnati allo psicologo che deve, con gli strumenti messi a disposizione, alleviare o eliminare il disturbo mentale. A fine terapia, che può durare qualche mese o qualche anno nei casi più gravi, viene inviato un rapporto alla Congregazione per la dottrina della fede per ogni singolo sacerdote, al quale viene allegata una dichiarazione, più o meno spontanea, dell’ammissione delle proprie colpe e del sentito pentimento. A quel punto viene deciso, dalla Congregazione per la dottrina della fede, se riabilitarlo e farlo tornare nella sua parrocchia, trasferirlo in un’altra o prolungare la terapia. Deve capire che non è possibile fare molto di più in un clima di estrema riservatezza.»
Quindi, in definitiva, è il Vaticano a decidere se un sacerdote con problemi di pedofilia sia idoneo a tornare alle sue mansioni? Conosce quali criteri vengono utilizzati in questa valutazione?
«Il compito del centro è curare il sacerdote. L’ultima parola spetta alla Congregazione per la dottrina della fede e non facendone parte, non conosco i loro criteri.»
Quanti sacerdoti sono stati riabilitati?
«Quasi tutti, al termine della prima terapia, tornano ad amministrare i sacramenti. E’ più raro che il sacerdote torni alla Diocesi di appartenenza, di solito avviene il trasferimento in parrocchie di piccoli paesini, lontani dalla propria.»
Quanti sacerdoti, secondo lei, sono “guariti” dalla pedofilia?
«Nessuno. Non esiste cura per la pedofilia, purtroppo…»
Cosa succede quando il sacerdote torna al suo lavoro?
«Le racconterò questo: un sacerdote, riabilitato e trasferito in una parrocchia di un piccolo paesino tra le Alpi, è ricaduto in poco tempo…»
E?
«Dopo alcuni mesi è stato trasferito in un convento…»
Senza essere ridotto allo stato laicale…
«Esatto.»
E’ un caso isolato o è la norma?
«E’ quello che più spesso accade. Il sacerdote torna in parrocchia, ricomincia ad abusare e viene chiuso in un convento o in un luogo di ritiro.»
Non tornano in terapia…
«A volte è accaduto, ma la prassi è quella.»
Sacerdoti italiani o anche stranieri?
«Principalmente italiani, ma non sono mancati sacerdoti di altre nazioni.»
Può fare qualche nome?
«Sarebbe un autogol. Venire identificato, sarebbe una condanna per me. Ho molta paura di ritorsioni.»
Una domanda sorge spontanea: i sacerdoti che ha avuto in cura sono mai stati denunciati alle autorità civili?
«Assolutamente no. E’ vietato parlare del centro e di tutto ciò che accade all’interno. Se avessi denunciato, sarei stato scomunicato immediatamente.»
Perchè sacerdoti con questo tipo di problemi vengono “spediti” in questo centro?
«La Chiesa non vuole pubblicità di questo tipo, preferisce agire facendo poco o nessun rumore.»
Perché ha deciso di parlarne?
«Provo vergogna per quello a cui ho assistito in tanti anni e per il modo in cui è stata gestita finora la “patata bollente” della pedofilia. Questi sacerdoti dovrebbero essere non solo ridotti allo stato laicale ma anche scomunicati. Ma questo non avviene quasi mai, se non per i casi di pubblico dominio.»
Esistono altri centri come quello in cui lavora?
«Ne conosco almeno altri due in Italia, non so all’estero.»
Per quale motivo la Chiesa Cattolica è così omertosa?
«C’è sempre stato timore dello scandalo. La Chiesa non vive un momento storico felice, penso sia evidente anche da quello che si legge ultimamente dai giornali.»
A proposito dello scandalo scoppiato in questi giorni, è terminato o c’è da aspettarsi altri colpi di scena?
«Il bubbone non è ancora esploso. Crede forse che in Italia la situazione sia stata differente rispetto all’Irlanda o agli Stati Uniti? Le associazioni nel nostro paese si stanno formando solo ora, ci vorrà tempo sicuramente ma non si può insabbiare tutto in eterno…»
Un’ultima domanda: secondo lei, è vero quanto riferito dal New York Times, ossia che Ratzinger era a conoscenza degli abusi sessuali ma ha taciuto e nascosto questi fatti?
«Posso solo dire quello che ho visto e vissuto in prima persona. La risposta a questa domanda glie l’ho già data, anche se indirettamente.»


Fonte: http://www.retelabuso.org/
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