Da
secoli ci si interroga sull’autenticità della Sindone (in ostensione,
proprio in questi giorni a Torino). La stessa Chiesa cattolica non si
pronuncia in merito e ne parla come di una reliquia o, meglio, di
un’icona. Del resto, il valore di questo eventuale reperto è storico e
archeologico e non certo devozionale: un cristiano, per credere, non ha
bisogno di queste conferme, visto che di Dio ha la Parola stessa. Ma
questo non toglie che accertare la sua autenticità sia importante come,
in fondo, lo sono tutti i reperti dell’archeologia biblica.
Come è noto sulla Sindone si sono fatte prove al
carbonio 14, che situano il tessuto in epoca medievale, esami sui
pollini e sulle sostanze di cui è impregnata la reliquia (in buona parte
oli) che, invece, potrebbero datarla attorno ai primi secoli e,
ovviamente, analisi del racconto evangelico comparandolo alle usanze
funebri del tempo di Cristo. Su questo ha scritto in più testi Pierluigi
Baima Bollone che, essendo un esperto di medicina criminale, la scienza
che studia, appunto, le prove lasciate sui cadaveri e dai cadaveri,
rappresenta un parere autorevole. Bollone è giunto (attraverso uno
studio sistematico e apprezzabilissimo) alla certezza dell’autenticità
della Sindone: il lenzuolo di lino ha fasciato un corpo e risale ai
tempi di Cristo confermando la descrizione evangelica del suo martirio.
Affronteremo più avanti la questione, quello che
vorrei subito rilevare è il fatto che, senza tante prove basta osservare
attentamente la Sindone per rendersi conto che, purtroppo, il lenzuolo è
un falso, vale a dire non ha mai fasciato un corpo umano.
Si tratta, infatti, di un abilissimo manufatto medievale, ma l’artefice, per quanto geniale, ha commesso un errore, non ha calcolato lo spessore del corpo. Questo spessore non si può evidenziare dove il lenzuolo va a perdere: sui lati, e sotto, ma dovrebbe essere evidente laddove il lenzuolo è stato ripiegato per avvolgere il corpo. Vale a dire sul capo. Ebbene questo spessore non c’è.
Secondo Baima Bollone, infatti, il corpo di Cristo
sarebbe stato adagiato supino sul lenzuolo da Giuseppe di Arimatea, per
poi venire ripiegato sul lato anteriore del corpo dalla parte della
testa. Per questo le due tracce lasciate dal cadavere sono simmetriche.
Il problema, come detto, sta nello spessore del corpo.
Nella traccia
lasciata, infatti, si vedono la parte anteriore e quella posteriore del
capo, l’una attaccata all’altra, senza alcuno spazio in mezzo: manca la
traccia della parte superiore che avrebbe dovuto rimanere impressa, per
forza di cose, come il resto del corpo, compresi barba e capelli. Oppure
(se il telo non fosse stato aderente in quel punto) dovremmo avere uno
spazio vuoto, che non c’è.
Insomma, siccome il corpo non può essere piatto,
l’ipotesi più credibile è quella di due stampi in bassorilievo
simmetrici fatti con grande maestria, ma senza tenere conto della
profondità, un errore, se ci si fa caso, comprensibile in epoca
medievale quando la prospettiva non era ancora entrata nel bagaglio
degli artisti. L’immagine che correda questo pezzo è evidente: riporta
la Sindone come è, dalla parte del capo, e come, invece, dovrebbe
essere.
Dal punto di vista dell’archeologia biblica questa conclusione non è confortante.
Nel telo, infatti, è impressa la Passione di Cristo così come viene
descritta nei Testi Sacri e coincide con uno dei sistemi di inumazione
(per quanto raro) del tempo, con la sovrapposizione di un’usanza romana,
quella di mettere una moneta sugli occhi del defunto.
In effetti il
racconto evangelico fa pensare al telo sindonico sia in Giovanni («Si
chinò, vide i teli posati – in altre versioni «panni lini» – là, ma non
entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel
sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul
suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte»)
sia in Luca («Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose
in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora
deposto»).
La questione del sudario, però, è un altro rompicapo.
Secondo una delle usanze, infatti, il sudario veniva tolto prima di
fasciare il corpo, secondo altre, invece, veniva lasciato. Del resto
l’unico altro esempio di inumazione descritto nei Vangeli, quello di
Lazzaro, differisce da quello di Giuseppe di Arimatea: «Il morto uscì,
con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un
sudario». (Gv 11, 44). Non c’è nessun lenzuolo e il sudario è rimasto
sul volto.
In ogni caso anche del sudario di Cristo, quello rimosso, per intenderci, si hanno diverse reliquie. Nel Medioevo circolava un Mandoilum
(da cui il genovese mandillo per il fazzoletto) con il volto impresso
di Cristo. Oggi esiste il sudario di Oviedo che viene venerato e su cui
vi sono solo macchie di sangue. In entrambi i casi si tratta proprio del
sudario e non del velo con cui la Veronica avrebbe (secondo la
leggenda) terso il volto di Gesù.