Avvelenamento del Papa Clemente XIV da parte dei Gesuiti nel 1774


Quante profezie moderne non si spiegano con la conoscenza del sistema gesuitico? Noi diremo a questo proposito qualche cosa sulle profezie e la morte di papa Clemente XIV, che soppresse i Gesuiti.
Poco dopo la soppressione de’ Gesuiti, si trovò una mattina affisso sulle porte del Vaticano un cartello con queste lettere I. S. S. S. V. Nessuno capiva il mistero, ed il cartello fu portato al papa, il quale immediatamente lo capì, non per rivelazione dello Spirito Santo, ma perchè prima di essere papa era stato frate, e conosceva bene i Gesuiti. Egli dunque lo lesse così: “In settembre sarà sede vacante;” ed il 22 settembre il papa morì.

Nell’archivio della famiglia Ricci in Firenze, fra le altre memorie di Monsignor Scipione de’ Ricci vescovo di Pistoia, nepote del P. Lorenzo Ricci, Generale de’ Gesuiti nel tempo della soppressione, si trova la relazione della morte di papa Ganganelli, fatta dall’ambasciatore di Spagna che era in Roma, e mandata alla sua Corte. Questo documento è un po’ lunghetto, ma lo crediamo interessante, perciò lo riproduciamo.

“Relazione del genere di malattia e morte del papa Clemente XIV mandata dal Ministro di Spagna alla sua real Corte. 
Fin dall’anno 1770 ebbero principio le profezie della contadina di Valentano Bernardina Beruzzi, rapporto ai negozi gesuitici, oltre molte altre, che la superstizione degl’individui dell’estinta compagnia procurò propagare, col fine senza dubbio d’intimorire la santità di Clemente XIV, acciò non pubblicasse la soppressione di essa. Profetizzò quella famosa impostora, che non si estinguerebbe la compagnia; che un Gesuita molto nominato sarebbe promosso al cappello dallo stesso Clemente XIV; che i Gesuiti fra poco tempo sarebbero tornati nelle provincie da dove erano stati espulsi; che il papa sariasi convertito in favore de’ Gesuiti; con altre cose notoriamente false, e chiarite tali dai fatti susseguenti. Già per il 24 marzo questa illusa donna suppose morto Clemente XIV, e ripetè questa illusione della sua morte, finchè, disingannata che ancor vivea, tornò a profetizzare cappelli e favori per i Gesuiti. Avveratasi la soppressione della compagnia nell’Agosto 1773, si continuarono le profezie per altro termine, riducendole a due punti, uno cioè, che la società sarebbe risorta, e l’altro che sarebbero morti il papa e i principi che avevano procurata la soppressione, minacciandoli di varii gastighi. I propagatori di queste profezie erano diversi Gesuiti, che si facevano un sistema di spargere questi rumori. Applica ut fiat systema, erano le parole di una lettera di questi fanatici.
Ciò non ostante, il papa visse bene e contento più di otto mesi dopo la soppressione, quantunque sempre sospettoso delle insidie gesuitiche, di che ne fece discorso con una persona tanto autorevole e verace come N. N…… asserendogli che si metteva nelle mani di Dio, cui si offeriva in sacrificio volentieri, giacchè sul punto dell’estinzione aveva determinato quello che avea creduto assolutamente necessario e giusto, dopo molte fervorose orazioni, sì proprie che di persone di conosciuta virtù.
Il papa era di una complessione robusta, e soltanto pativa di certi flati ipocondriaci, aveva una voce sonora e gagliarda, camminava a piedi con tanta lestezza, quanto un giovane di pochi anni, era di allegrissimo genio e tanto umano ed affabile, che alcuni lo tenevano per eccesso. Era di grande e viva capacità, di sorte che con una parola capiva l’oggetto e il fine del discorso cui era diretto, mangiava con appetito, e dormiva giustamente lo spazio di cinque ore o poco più, tutte le notti.
In uno dei giorni della settimana santa di quest’anno 1774, dopo di aver pranzato, si sentì Clemente XIV una commozione nel petto, stomaco, e ventre, come di gran freddo interno, ed attribuendolo a pura casualità, si rasserenò poco a poco. Una delle cose che cominciarono ad osservarsi fu la decadenza della voce del S. Padre, sentendosi come un catarro di rara specie, e per questa ragione fu deliberato che per la cappella che avevasi da tenere nella basilica di S. Pietro il giorno di Pasqua di Resurrezione, gli si mettesse un capannone per ricovero del sito della cappella, e tutti osservarono la decadenza della voce del Papa.
Cominciò il S. Padre a soffrire delle infiammazioni nella bocca e nella gola, cagionandogli questo un fastidio ed inquietudine straordinaria, e fu notato che quasi sempre teneva la bocca aperta: indi seguitarono alcuni vomiti interrotti, eccessivi dolori nel ventre, impedimento di orina, e una debolezza progressiva nel corpo e gambe, che gli levò non solo il sonno alcune volte, ma la sua solita agilità nel camminare. Era tale il coraggio del Papa, che procurava dissimulare e cuoprire questi sintomi; ma era così persuaso che eragli stata data qualche cosa mortifera, che furongli trovate delle pillole contro il veleno, delle quali senza dubbio aveva fatto uso.
Così il Papa seguitava nel mese di maggio, giugno e luglio, con dissimulazione notabile della decadenza delle proprie forze e di altri accidenti: e contuttociò spargeasi e si pubblicava per tutto che sua Santità dovea morir presto, accennando alcuni il dì 16 luglio, e quando passò quel giorno, sparsero che il Papa morrebbe nel mese di ottobre, come fu scritto dalla Germania e d’altrove.
In luglio cominciò il Papa il rimedio dell’acqua a passare, del quale usava ogni anno contro un umor salso che pativa nell’estate; e in questo fu notato che non venivagli sul principio nella superficie del corpo in abbondanza degli altri anni; ma, entrato nel mese di agosto, la eruzione venne sufficientemente abbondante. Ciononostante seguitavano la debolezza, il mal di gola, l’apertura della bocca, gli straordinari sudori, quali veniva detto ch’erano procurati dalla Santità Sua, come conducenti a ristabilirlo in salute.
Verso gli ultimi di agosto, cominciò il Papa a ricevere i ministri, nonostante la debolezza e inquietudine interna che gli davano i suoi incomodi, dai quali provenne che perdette la sua naturale allegrezza e mansuetudine, ravvisandosi facilmente adirato e incostante, quantunque la sua naturale educazione e santa morale dominassero la veemenza del male, e lo riducessero alla umanità praticata con tutti. In questo tempo, scrisse il vicario generale di Padova al Segretario della congregazione de rebus jesuitarum, che certi ex-gesuiti gli si erano presentati giudicandolo terziario, e cominciando a prorompere in espressioni forti contro il Papa, manifestarono che sarebbe morto in settembre.
Sparsesi egualmente una stampa in Germania: alla parte sinistra di essa, era una morte con bandiera che aveva un Cristo nel centro, un bastone con una specie di tabernacolo nella sua estremità, dentro del quale vedevasi un ex-gesuita in abito lungo di prete secolare, ed in cima il nome I H S; sotto la stampa eravi un motto che diceva: Sic finis erit. Eranvi poi certi versi in idioma tedesco, in cui si spiegava che i gesuiti, ancorchè avessero mutato abito, erano fermi di non cambiare sentimento, e tosto seguiva questo testo con i grandi caratteri dinotanti l’oronografo misterioso: qVoD bonVM est In oCVLIs sVIs faCIet. I Regum 35, 18. Unite le lettere maiuscole, compongono i numeri MDCCLVVVVIIII, che è l’anno 1774 in cui è morto Clemente XIV.
Dopo questi antecedenti, venne la febbre al papa, la sera del 10 settembre, con una specie di sfinimento e prostrazione di forze, che fece credere che perderebbe presto la vita, gli fu quella sera stessa cavato dieci oncie di sangue, e non si trovò in esso segno d’infiammazione; e neppure nel respiro, petto, ventre e orina notossi cosa grave che dasse pensiero. Si vide anche che lo stesso sangue fece del siero corrispondente, nonostante che il medico avesse opinato essere il male derivato dalla mancanza de’ sieri, per i copiosi sudori che la Santità Sua aveva patiti. Difatti la mattina degli undici, il papa cominciò a restare senza febbre, e secondo i medici restò netto in quella giornata e nella seguente del 12, notandosi però nel S. Padre un ristabilimento di forze, che non solo pensava uscire al suo solito passeggio ne’ 14 e 15, ma ancora portarsi a Castel Gandolfo alla villeggiatura consueta.
Fino dal 15 tornò alla Santità Sua la debolezza con sonno eccessivo notturno e diurno, fino alla notte del 18, nella quale ebbe qualche vigilia; e trovandosi la mattina del 19 con febbre, ed una grande enfiagione nel basso ventre e ritenzione di orina, gli fu fatta una sanguigna, e non fu osservata qualità infiammatoria nel sangue; ed inoltre fatte varie pressioni sul ventre, non sentì dolore alcuno, avendo anche libero il petto e il respiro. Verso la sera del medesimo giorno, sopraggiunse al papa una accensione, onde furongli replicati i salassi; e lo stesso fecesi la mattina del 20; ancorchè fosse notata una maggior blandura nel polso e nel ventre, la quale crebbe di modo che il giorno medesimo 20 fu creduto di avere un poco migliorato; ma queste speranze svanirono colla nuova accensione nella stessa sera sopraggiunta; cosicchè fu creduto amministrargli il S. Viatico.
Passò il papa la notte inquieta, onde gli vennero replicate le emissioni del sangue nel dì 21, seguitando la febbre ed il gonfiar del ventre, senza poter orinare, di sorte che la sera stessa del 21 gli fu amministrata la Estrema Unzione, ed in mezzo agli atti di contrizione e pietà veramente esemplare, rese l’anima al suo Creatore verso le ore 13 del dì 22 settembre del 1774.
Alla medesima ora incirca del giorno seguente 23, si fece la sezione od imbalsamatura del cadavere. Prima però fu osservato che il viso era di color livido, le labbra e le unghie nere, e la region dorsale di color nericcio. L’abdome gonfio, e tutto il corpo estenuato e magro, d’un color cedrino che tendeva al cenericcio: il quale però lasciava vedere sì nelle braccia che nei fianchi, cosce e gambe, dei lividi apparenti sotto la cute.
Aperto il cadavere, si vide che il lobo sinistro del polmone aderente alla pleura erasi infiammato ed incancrenito, e parimente infiammato l’altro lobo. Ambedue i lobi erano pieni di sangue saturato, e tagliata la sostanza de’ medesimi, gemè un umor sanguinolento. Fu aperto il pericardio, e fu veduto il cuore impicciolito di mole, per la totale mancanza dei liquidi che nel pericardio trovavansi. Sotto il diaframma si videro il ventricolo e gl’intestini pieni di aere, e passati in cancrena: e fattasi l’incisione dell’esofago, seguitando sino al ventricolo, piloro e gl’intestini sottili, si riconobbe infiammata tutta la parte interna dell’esofago, tendente al cancrenismo, come ancora la parte inferiore e superiore del ventricolo, e tanto questo quanto gl’intestini ricoperti di un fluido che dai professori dicesi atrabilario; ed il fegato era piccolo, e nella parte superiore aveva delle parti sierose. La vescica del fiele comparsa grossa, in essa trovassi copia d’umore, che ancor si disse atrabilis: si trovò pure una quantità di linfa nella cavità del basso ventre. Nel cranio videsi la dura madre alquanto turgida ne’ suoi vasi, e considerata la sostanza, nulla si osservò di particolare, se non che di essere un poco flaccida. Collocati gl’intestini ed i visceri di una vettina (*Le interiora de’ papi sono poste in una vettina, ben chiuse e suggellate, e sono murate in una nicchia a sinistra dell’altar maggiore nella chiesa de’ SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi. Il parroco di quella chiesa che riceve le sante viscere, prende per quella funzione sei grosse torcie di cera, e settanta scudi in buona moneta), questa crepò ad un’ora di notte (**Lo stesso accadde alle viscere di Leone XII, morto parimente di veleno. Ma la vettina ove erano le viscere di papa Leone scoppiò nella chiesa de’ SS. Vincenzo ed Anastasio), ed empì la camera d’un fetore orribile; non ostante l’imbalsamatura fatta alcune ore prima. La mattina seguente 24, fu d’uopo chiamare alcuni professori verso le ore dieci (cinque antimeridiane), e si osservò che il cadavere gettava insopportabile fetore, il viso rigonfio e di color negriccio, le mani del tutto nere, e sopra i dorsi delle medesime esservi delle vescicone della altezza di due dita traversali ripiene di sierosità lixiviali, come se sopra le medesime si fosse versata dell’acqua bollente, o altro fluido atto a produrre vesciche.
Fu osservato in oltre gran quantità di siero sanguinolento corrotto, e scorreva per il declivio del letto, e cadeva sul pavimento in copia abbondante, cagionando un tale fenomeno ammirazione ai professori nell’intervallo di 34 ore, in cui il cadavere dopo ben pulito e cavate le viscere era già stato imbalsamato con somma attenzione. Allora fu pensato incassare il cadavere; ma non fu fatto, per aver riflettuto monsignor Maggiordomo che ciò avrebbe potuto produrre qualche cattivo effetto nel pubblico, onde si procurò usare delle altre cautele: e mentre si spogliava il cadavere degli abiti pontifici, venne in gran parte appresso agli abiti la pelle. Si osservò poi nelle mani, l’unghia del pollice destro si era da esso separata; si fece la prova sull’altro, e si vide che ad un semplice stropicciamento tutte le unghie si separavano alla presenza di tutti gli astanti.
Si videro nella regione dorsale tutti i muscoli sfacellati e disfatti, in guisa che nella metà del dorso lateralmente alla midolla spinale, si osservò per lo spazio di tre dita traverse da ogni parte un crostone totale, tanto de’ muscoli sopraccostali, quanto degl’intercostali, che formandosi due aperture, permettevano di vedere l’imbalsamatura del di dentro nel petto illesa.
Fu osservato inoltre, meno che nelle coscie e gambe, un efremen (ebullizione) universale. Si procurò usare varie cautele, e nelle incisioni che di nuovo si fecero, si vide nella superficie di esse un subollimento fluido, che manifestavasi agli occhi di tutti a guisa di ampolle.
Altra osservazione che fecesi fu quella di essere cascati al cadavere i capelli, gran parte de’ quali restò sul cuscino in cui poggiava il capo. Infine, nonostante tante cautele, e nuove imbalsamature, dopo che il cadavere fu portato a S. Pietro, fu di mestieri incassarlo, ad onta della politica colla quale spiegossi gran parte dei professori che assistevano alla sezione. Si sparsero per Roma molte delle cose riferite di sopra, sebbene con qualche alterazione, e il popolo romano si riempì di scandalo, credendo avvelenato il pontetice con l’acquetta che si fa in Calabria e in Perugia, secondo la comune opinione, per levare la vita a poco a poco come si è veduto.
Gli osservatori univano le profezie che certamente non erano dello Spirito di Dio, poiché la maggior parte di esse eransi rese false. Uniamo altresì le notizie, stampe, minaccie; la commozione di Clemente XIV, l’infiammazione alla gola ed alla bocca, l’abbandonamento di forze progressivo, freddo ed enfiagione di ventre, ritenzione d’orina, perdita della voce, vomiti, e finalmente il color livido e negro del cadavere, quello delle unghie e il distacco di esse e de’ capelli, siccità di cuore e di tutt’altro sopraesposto; non potendo combinare che una infiammazione, conforme dissero i medici, la quale non avesse una causa preternaturale e violenta, lasciasse il sangue senza segni d’infiammazione, e nascondesse la febbre per lo spazio di nove giorni. Questi stessi osservatori senza essere medici, credettero che potessero essere adottabili da un giudizio prudente i segni del veleno che assegna Paolo Zacchia medico romano.”

Qui l’ambasciadore spagnuolo trascrive dalla famosa opera di medicina legale di Paolo Zacchia tutti i segni di un avvelenamento. Tutti furono persuasi che la morte di Clemente XIV sia stata cagionata dal veleno de’ Gesuiti; eppure nè i cardinali di quel tempo, nè il papa successore fecero nulla per dimostrare legalmente il veneficio, e cercarne gli autori.

Tratto da: 
Nota 18. alla lettera quattordicesima (Gesuitismo) di Roma Papale 1882 (Indice delle lettere e delle note del libro "Roma papale")


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